di Mario Martone da Il Mattino
I dialetto e' esploso nel mio lavoro quando, dopo molti anni di teatro interdisciplinare, fatto di immagini, suoni, installazioni, performance, ho voluto affrontare artisticamente per la prima volta la mia citta' nativa, Napoli. Era il 1991, in quello stesso anno realizzai, in coregia con Toni Servillo, lo spettacolo "Rasoi" su testi di Enzo Moscato e il film Morte di un matematico napoletano, di cui avevo scritto la sceneggiatura con Fabrizia Ramondino. Avevo dunque due formidabili Virgilii. Il dialetto e' importantissimo anche nel mio film piu' recente, "Noi credevamo". In questo caso vi sono numerosi dialetti, oltre a diverse lingue come l'inglese e il francese. Il cortile della casa di Salvatore risuona di voci piemontesi, il capo guardia in carcere parla il lucano, diversi detenuti hanno parlate pugliesi, l'oste della locanda parla il calabrese della zona di Cosenza: i dialetti e le lingue contribuiscono a creare nel film i luoghi geografici dell'azione. La compresenza e il contrasto tra i dialetti costituiscono anche l'altra faccia del contrasto paesaggistico che e' tratto fondamentale per evocare l'Italia del Risorgimento. Contrasto come conflitto o contrasto come ricchezza? Nel quarto episodio di "Noi credevamo" si sente molto questo aspetto; il dialogo tra il vetturino e i bersaglieri al posto di blocco suona diversamente dall'incrocio delle voci meridionali e settentrionali che riecheggiano quando tutti i garibaldini si trovano insieme. Un segno di conflitto latente diventa improvvisamente una possibilita', si fa popolo. Un aspetto, questo, che "purtroppo sfuggito al commento distratto di Aldo Cazzullo che, essendosi annoiato guardando il film (per fortuna in sparuta compagnia) non si e' accorto che oltre allo spietato comandante che parla in piemontese e che tanto lo ha irritato, c'e' anche un feroce comandante borbonico che parla in napoletano: e che non e' la loro provenienza geografica a metterli incattiva luce, ma il dispotismo e l'ingiustizia dei loro comportamenti. In "Noi credevamo" non si racconta di un Sud vessato dal Nord, ma di patrioti che sognavano una unita' diversa e piu' giusta, settentrionali o meridionali che fossero.....
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