LE DIFFICOLTÀ DEL NUOVO ESECUTIVO L'IMMAGINE CHE NON C'È di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA governi tecnici non esistono. E dunque anche il governo Monti è, come tutti i governi, un governo politico. Ma a giudicare da questi primi giorni sembra che il primo a doversene convincere sia, paradossalmente, il governo stesso. Il quale, se crede nel senso della propria esistenza, deve al più presto, invece, porsi un obiettivo: acquisire — visto che un'identità politica di partenza gli manca — un'immagine politica. Per due ragioni importanti. Innanzi tutto perché solo così esso cesserà di apparire una diretta emanazione della volontà del presidente della Repubblica, si emanciperà dalla sua tutela. E poi perché solo acquisendo una propria immagine politica esso può sperare di resistere al più che probabile assedio dei partiti. I quali per il momento lo appoggiano, è vero, ma intenzionati presumibilmente a consentirgli di sparare al massimo un colpo o due, per poi disfarsene o comunque neutralizzarlo. Ciò che però non sarebbe certo un vantaggio per il Paese. È vero infatti che in una democrazia parlamentare un governo nato al di fuori del circuito politico-partitico costituisce un'evidente anomalia. Ma visto che ormai c'è, conviene lasciargli il tempo e la possibilità di fare ciò che esso è chiamato, e riesce, a fare. Per il governo Monti acquisire un'immagine politica significa riuscire innanzi tutto a stabilire una comunicazione efficace con gli italiani. Al consenso in certo modo solo formale strappato ai partiti esso deve aggiungere un consenso d'opinione: che allo stato potenziale esiste di certo in notevole misura, ma che ha bisogno di essere motivato e strutturato adeguatamente. La crisi economica è stata decisiva per accreditare la necessità di un cambio alla guida del Paese. Ma ora che questo è avvenuto, il governo deve mostrarsi capace di parlare all'opinione pub- buca, di convincerla della necessità dei sacrifici che l'aspettano. E deve farlo nel modo in cui la politica richiede che tali cose vadano fatte. Cioè in modo non notarile, in modo non «tecnico». Sia pure alla loro maniera, con il loro stile, il governo, il presidente del Consiglio, i ministri devono incominciare a parlare al Paese la lingua, tutta politica, dei sacrifici, sì, ma anche degli alti propositi, della speranza, delle emozioni: a un Paese che oggi sembra più che disposto a prestare ascolto a un discorso pubblico fondato sui valori della coesione e dell'equità sociali, della sobrietà dei comportamenti, della buona amministrazione, cioè sui contenuti che Monti si è proposto di dare alla sua azione di governo. C'è poi un ambito specifico che sembra fatto apposta per la costruzione di un'immagine politica del governo. È quello della politica europea. L'Ue quale l'abbiamo conosciuta negli ultimi quindici anni è ormai virtualmente morta. L'unica cosa rimasta sulle sue rovine è il tentativo di direttorio franco-tedesco. Ciò che però non solo è del tutto contrario al nostro interesse nazionale, ma è quasi certamente destinato a suscitare l'opposizione anche di un certo numero di altri Paesi. Ebbene, perché l'Italia non potrebbe cercare di essere un punto di coagulo di tale opposizione, facendosi iniziatrice di una revisione profonda della costruzione europea? Perché non potrebbe assumersi il compito di avanzare una serie di proposte volte a sostituire ai mandarini di Bruxelles e alla Duma di Strasburgo un'Europa finalmente politica, dotata di effettivi poteri, sanzionati democraticamente dai popoli del continente? Oggi più che mai, insomma, l'Italia e con lei l'Occidente hanno bisogno di idee, di valori, di progetti: hanno bisogno di politica.
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