di Piero Sansonetti da Il Riformista
Cos'e' che paralizza il Pd, che lo rende un corpo immobile, una statua di sale? La paura. Credo che la malattia del Pd sia tutta qui: la paura di ogni cosa. Di fare politica, di affrontare Berlusconi, di schierarsi sulle grandi questioni, di rendersi indipendente da Confindustria e dai sindacati, di produrre pensiero, di affrancarsi dal potere dei gruppi editoriali amici, di liberarsi dalla sudditanza verso la magistratura. E poi la paura piu' grande: la paura di se stesso. Il Pd ha paura del Pd. Teme ogni suo atto di vitalita'. Il Pd e' nato semplicemente per amministrare il potere, questo e' il suo grande difetto "genetico". Ed e' disposto a misurarsi solo sul suo terreno: su come amministrare il potere. Non e' nato per fare politica. E di conseguenza non solo non e' capace di fare politica, ma e' terrorizzato dalla politica e soprattutto da quella piccola parte di se' che, andando contro natura, minaccia di farla.
La vicenda delle primarie e' davvero emblematica. Il Pd avrebbe la possibilita' di usare le primarie per rimettere in moto il suo corpo vivo, e quindi per selezionare idee e classe dirigente e anche per rinsaldare il legame col popolo, che ormai e' logoro, quasi scomparso. Del resto il Pd e' nato esattamente dalla celebrazione di una tornata di primarie. Quelle che portarono sull’altare Veltroni. Il problema e' che gia' nell’atto di nascita del Pd c'era un equivoco. Le primarie non erano concepite come uno strumento politico e un passaggio della politica; erano immaginate come un mezzo del potere e un passaggio di celebrazione e di consolidamento del potere. Le primarie che furono organizzate per nominare Veltroni, e che produssero un’enorme partecipazione popolare, non prevedevano battaglia politica, ne' discussione politica, ne' confronto politico: erano un momento di mobilitazione popolare realizzato per sancire una decisione già presa e che riguardava la corsa del Pd verso il potere. Non c'era niente di politico in quelle primarie: erano l'affermazione del diritto del Pd a governare, e a governare attraverso l’investitura di Walter Veltroni. Le cose andarono male: il Pd non fu autorizzato dagli elettori a governare. A quel punto si trovo' spaesato, privo di mezzi per rialzarsi dopo la sconfitta. La sconfitta non era nel novero delle possibilita'. Nel momento in cui il Pd si e' trovato difronte all’ipotesi di elezioni "primarie" che prevedessero divisioni interne, battaglia politica, confronto di programmi, competizione ed esito incerto si e' rivoltato. Ha avuto la reazione che si ha in presenza di uno snaturamento di qualcosa che e' ritenuto di proprietà, e che viene attaccato e utilizzato da fuori. Il caso clamoroso, il primo, e' quello pugliese. La decisione di Nichi Vendola di correre per le primarie, senza un accordo con lo stato maggiore del Pd e senza che prima fosse deciso, in sede di "stato maggiore", quale equilibrio politico fosse necessario per far riuscire le primarie, ha sconvolto il partito. Al Pd e' sembrato di subire una prepotenza e una violenza. Le "sue" primarie usate per rovesciare sue decisioni e suoi equilibri interni! Le primarie per affermare una leadership di centrosinistra esterna al Pd! Sacrilegio. Da quel momento il Pd ha considerato le primarie il principale nemico della propria stabilita'. Perche'? Perche' nelle primarie vedeva il realizzarsi della battaglia politica, cioè dell'elemento non "previsto" nel suo Dna. Eppure le primarie sono - al momento - l’unico strumento che potrebbe rimettere in circolazione il sangue nelle vene del partito. Salvarlo dalla lenta morte alla quale si e' avviato. Non cui vuole un grande ingegno per capire che il Pd ha bisogno di una svolta. E che la svolta consiste esattamente in questo: nel superamento del suo difetto di origine, e cioe' nella trasformazione del suo atto di nascita ostile alla politica. Il Pd per tornare a vivere deve riprendere a fare politica. E per fare politica deve superare tutte le sue paure. E quindi deve superare essenzialmente la paura di se stesso. Le primarie sono l’occasione. Del resto in questi mesi abbiamo visto che non e' scritto nel libro del destino che le primarie debbano per forza essere una sconfitta per il gruppo dirigente del Pd. È vero che ha perso - sopraffatta da Sel - alcune primarie importanti, come quella pugliese, quella a Milano (Pisapia) e quella a Cagliari (Zedda); ma le ha perse perche' non ha saputo scegliere i candidati e non ha saputo impostare la battaglia politica. Pero' ha vinto a Bologna ha vinto a Torino e ha vinto persino a Napoli. Prendiamo gli esempi della due citta' più gradi: Torino e Napoli. A Torino ha vinto largamente, e con un’ottima partecipazione, con un candidato molto autorevole e anche molto moderato. Fassino forse e' il più moderato dei dirigenti Pd, e aveva appena, in modo molto netto, sfidato la Fiom che e' potente nella sinistra torinese. Pero' ha vinto, dimostrando che non e' vero che le primarie le vince per forza il candidato piu' di sinistra. Anche a Napoli il Pd ha vinto le primarie: Cozzolino, uomo Pd ha sconfitto un altro uomo del Pd, Ranieri, e ha battuto anche il candidato di Sel (Mancuso). Solo che li', confermando il suo istinto suicida, il Pd ha deciso che le primarie non erano valide perche' lo stato maggiore del Pd aveva deciso che doveva vincere Ranieri. Non solo ha compiuto un atto intollerabilmente antidemocratico, ma ha praticamente annullato ogni possibilita' di mantenere Napoli a sinistra e ha prodotto un danno gravissimo alla propria immagine. Semplifichiamo al massimo la questione. Il Pd e' al bivio: Torino o Napoli? Se sapra' scegliere la via torinese e faticosamente rimettersi in gioco e superare il panico per la politica, tornera' a essere il pilastro della sinistra. Se scegliera' Napoli, e cioe' l’idea che la politica e' pericolosa e quel che conta sono solo le decisioni di potere costruire nelle segrete stanze, il Pd e' morto.
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