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"Arte Povera piu' Azioni Povere 1968" La sfida di Germano Celant

12/11/2011

LA PROPOSTA DELL'INVENTORE DELL' «ARTE POVERA»

«International Napoli»
La sfida di Germano Celant

Lo storico dell'arte:«Maturi i tempi per una mostra
sul rapporto tra la città e l'arte contemporanea». 

Germano Celant

Germano Celant

 

NAPOLI - «Credo che oggi siano più che mai maturi i tempi per una straordinaria mostra, figlia di un approfondimento teorico su Napoli internazionale. Questa città è stata troppo importante per l'arte contemporanea negli ultimi 40 anni. Per i transiti qui avvenuti e per le restituzioni creative che ne sono derivate. Ecco ‘‘International Napoli'' sarebbe un bel titolo per questo progetto».

È singolare che a mettere in campo questa propostanon sia un figlio di Partenope ma bensì un genovese come Germano Celant che ieri al Madre ha lanciato la sfida, collegandosi così ad un'altra sfida lanciata e vinta da questa regione 43 anni fa. «Arte Povera più Azioni Povere 1968», che si svolse negli Arsenali di Amalfi grazie a Marcello e Lia Rumma, oggi rivive nella navata della Chiesa di Donnaregina Vecchia a Napoli, utilizzando lo stesso titolo e riproponendo lo spirito di quel progetto espositivo, pur con inevitabili aggiornamenti ed aggiunte.

Una mostra di cui sono curatori il direttore del Madre, Eduardo Cicelyn, e Celant appunto, padre di quel movimento, celebrato quest'anno in ben sette musei italiani: oltre Napoli anche Bari, Bergamo, Bologna, Milano, Roma e Torino. «È stata un'esperienza nuova e positiva — continua Celant —, quella di mettere insieme tanti luoghi e strutture diverse, generalmente diffidenti gli uni con le altre, un metodo di lavoro che anche in Italia potrebbe regalarci risultati sorprendenti. A partire proprio da Napoli. Ogni volta che sono qui penso allo snodo decisivo che c'è stato con il resto d'Europa e del mondo. Al fatto che da qui siano passati Rauschenberg, Warhol, Beuys, che in questa città abbiano lavorato galleristi come Lucio Amelio, Lia Rumma, Trisorio, che qui siano nate esperienze come ‘‘Gli incontri internazionali d'arte'' di Graziella Lonardi Bontempo o ancora che qui siano state aperte le porte di un museo storico come Capodimonte al Cretto di Burri esposto da Raffaello Causa, o ancora al San Carlo che ha ospitato scenografie di artisti contemporanei come Kentridge e Kiefer».

Un'idea appassionante, ma anche difficile da realizzare. «No, se finalmente si deciderà di mettere insieme le forze, ognuno per le proprie competenze evitando di dividerci come siamo soliti fare noi italiani». E all'appello è apparso subito interessato Pierpaolo Forte, nuovo presidente della Fondazione Donnaregina, che ha anticipato per la prossima settimana alcuni importanti annunci sul futuro del Madre.

Tornando alla mostra inaugurata ieri a Donnaregina, è evidente il tentativo di creareun filo rosso con il passato, ma non sul piano della filologia, quanto su quello dell'atmosfera ricreata dai lavori esposti. Alcuni dei quali erano già ad Amalfi, come la «Tenda di lampadine» di Michelangelo Pistoletto o «Il fuoco è passato» di Gilberto Zorio, il «Mappamondo» ancora di Pistoletto, l'Italia sospesa a testa in giù di Luciano Fabro, il cubo di Anselmo o il «Mancorrente a squadra» di Boetti. Altri invece sono ispirati ai lavori di allora come nel «Sarcofago di stracci» ancora di Pistoletto. Da ricordare ancora le «Lance» di Merz e i caratteristici «Bachi da setola» di Pino Pascali. Mentre nuovi sono invece i cinque topi (vivi) chiusi in una gabbia allestita da Jannis Kounellis. Completano il ciclo le opere di Boetti, Penone, Calzolari, Marisa Merz, Paolini, Piacentino e Prini.

«L'arte povera è stato un vero movimento italiano — ha poi aggiunto Cicelyn — che ha spostato l'attenzione dell'arte contemporanea sul nostro paese, divenendo poi un riferimento anche per il nostro museo». «Nel riveder queste opere — ha poi commentato Zorio — mi sono venute in mente due cose, la nostalgia per la perdita di amici come Merz, Pascali, Fabro. E la freschezza di questi lavori, che sembrano fatti ieri». Infine un ospite illustre come Joseph Kosuth: «Mi considero un compagno di strada dell'Arte Povera, che era in sintonia con il nostro Concettualismo americano. E poi la mia prima mostra in Europa fu con loro a Torino».