Eravamo a discutere un po’ di noi, giovani dei movimenti studenteschi sul se fare il campeggio di ogni anno in Toscana o a Castellammare di Stabia. Sul se se avesse ragione Pierfrancesco e i suoi “che palle, e quanto lo faremo al Nord..?” o i giovani di I Care Stabiesi che ci supplicavano di andare lì, nella terra dei D’Alessandro e degli Imparato. Alle ore 17.58 di quel giorno capimmo tutti che la storia si sarebbe rifatta a Palermo. Forse. Ma non c’era tempo di pensare. Si piangeva e ci si confortava a vicenda.
Sono passati diciotto anni e sembra ieri. E sarebbe stato normale per tanti di noi, quindi, trovare oggi, sui principali quotidiani nazionali, editoriali in memoria di quei servitori dello Stato, riflessioni aggiornate a quasi un ventennio di distanza su tutti i misteri che avvolgono quel passaggio fondamentale della nostra storia. Invece, niente. Un silenzio nazionale che relega quel passaggio a storia meridionale e siciliana, con ricordi sulle pagine locali delle testate e con una bella prima pagina de Il Giornale di Sicilia.
Eppure in quei drammatici giorni si formò una coscienza nazionale che vide per protagonista le giovani generazioni e la scuola. Da Nord a sud fu un sussulto di iniziative, di marce verso Palermo, una commozione generale che divenne azione e che raramente abbiamo vissuto in Italia, se non per “mirabili” eventi sportivi. Fummo nazione, nella emozioni e nella consapevolezza che la lotte alle mafia, prima che ce lo dicessero altri magistrati ancora, interessava Palermo come Napoli come Milano. Si riformò una coscienza nazionale e si rifece l’unità del paese, create da una mobilitazione collettiva e civile che partiva proprio da Palermo, con i suoi lenzuoli bianchi appesi ai balconi, con la città che piangeva di gratitudine alla vista delle migliaia di noi che lì sbarcavamo con le navi della speranza e del riscatto
In quei mesi e in quegli anni a seguire si formò anche una nuova classe dirigente, quasi a smentire l’assunto sociologico che non vuole mai vedere nei movimenti dal basso una ricaduta sulla politica e nelle istituzioni. Al contrario quelle giovani generazioni si presero il compito negli anni a seguire di incarnare la “Primavera” amministrativa in tante città del Mezzogiorno: furono elettori che sorressero il cambiamento, furono loro stessi attori, nei partiti, nelle associazioni, nei mille Comuni del Sud, di una grande esperienza.
Almeno i telegiornali oggi ci hanno restituito belle immagini e belle testimonianze dei tremila giovani, come tanti di noi allora, sbarcati lì a Palermo e provenienti da tante parti d’Italia..
E se non viene la nostalgia e il rammarico di non esserci oggi lì fisicamente è forse anche perché qualche risultato lo abbiamo avuto.
E’ quella villa a Eboli del clan Maiale confiscata e divenuta “Villa Falcone e Borsellino” centro di accoglienza per gli immigrati; sono quelle terre e quelle regge sottratte ai casalesi e divenuti centri di formazione e di educazione alla legalità gestite dalle Università, come quei pezzi di territorio del Reggino e della Locride restituiti allo Stato e alla civiltà del diritto
E’ quel castello di Ottaviano, sottratto a Cutolo, restituito allo Stato. Alla faccia di tanti, anche di certa stampa “pelosa” dell’epoca, che giudicava inutili quei cortei studenteschi, quel vescovo, quel segretario di partito, e quel leader sindacale che li accompagnavano per le vie della rinascita.
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